Varie storie, talora scabrose, torbide, s’intrecciano viaggiando in moto. Tanti spizzichi di vita inseguiti a bordo di una moto. Ma l’amore vero Ruben, studente prima delle superiori, poi dell’università, lo rincorre a piedi. Tuttavia le sue vicende d’amore si esaltano nel girovagare nella sua città, Nisco Lipea: moderna e affascinante, ingiusta e spietata; nell’immergersi nell’ameno paesaggio circostante, caratterizzato da colline solcate da tranquilli corsi d’acqua; nell’andare con il suo mezzo meccanico sui monti imperiosi che incorniciano la metropoli. Grazie alla sua moto raggiunge i luoghi dove la sua vita si svolgerà in modo intenso, a causa della sua moto vivrà pure i momenti più tragici della sua giovinezza. Dopo l’uccisione di Astrid, la sua ragazza, uccisione avvenuta in un tentativo di violenza messo in atto da alcuni balordi malviventi, lo studio della fisica, l’impegno politico continuano per un po’ a mettere sale alla sua vita. Un ulteriore episodio delinquenziale cambierà per sempre le sue aspettative di vita, le sue riflessioni speculative, altresì, una svolta imprevista conferirà alla sua storia di riprendere a sperare.
la vita è.
L'aurora è.
Dolce, lievemente impetuosa è l'aurora; impeto e dolcezza scorrono nelle vene. Una polla borbotta nella radura; i ruscelli scivolano, corrono giù dalle colline, nei canali tra le montagne. Adesso aghi di luce trafiggono l'aria, le sfolte nubi ex color pesca-arancia, e nel cielo di luce altro cielo, ancora più alto, appare corrusco.
La voce della nonna c'incalza, ci sprona al cammino sul polveroso pietrisco che rabesca la coltre cespugliosa; la voce della nonna è schiocco di sferza che rasenta la nuca, colpisce sul corpo di striscio. I còlubri fuggono alla vista del passaggio affrettato. Noi, coscienti incoscienti, ci disponiamo al divertimento, mentre Santino fa la notte. Lontano, molto lontano, portiera di fuoriserie sbatte in chiusura. Comunque sul colle non c'è segno o riflesso di modernità; non c'è tendenza al modernismo, perché chiari, incommensurabili spazi astrali si affermano vetusti e verginali nei nostri cuori.
lo vivo nella famiglia contadina di mio nonno patriarca, che tira il sigaro sotto mustacchi invisibili. Nella sua quasi Ciociaria il "bagno fresco" mi attende: io mi tufferò sotto il pelo liquido, per volteggiare insieme agli ippocampi. Stamattina mangerò con avidità pane scuro di casa e cacio caprino stagionato; acqua sulfurea sarà la mia gazzosa dissetante. Altri bei giorni mi assiderò alla mensa del nonno: sul suo desco abbondano squisiti prodotti di sudata campagna.
O aurora rossoviolenta della giovinezza (forse dovrei dire della post-adolescenza), o aurora tenace e conturbante, che però a poco a poco hai ceduto il campo a molte aurore smorte e insignificanti, ti trovi a illuminare le pendici di un vulcano, il cui magma fuso e dilagante è accompagnato in cielo da inutili, piangenti fuochi di artificio! Talvolta gas velenosi appestano l'aria: vengono giù coi bagliori artificiali.
O vulcano di policromatiche incandescenze, hai ferito con le tue eruzioni, coi tuoi scoppi traboccanti e maliosi, occhi sbarrati d'innocenza e di speranza, occhi chiusi su quella lontana ambascia quando...
il tempo che legherai la tua sorte
a un altro uomo, una eco insidiosa
nel peso di un martello il mio nome
ti porterà alle tempie.
Eh sì, di me udrai raccontare!
Di me che invano ti tesi la mano.
Rammenterai l'amore, e il raggiro,
tra le maglie di obblighi amari,
nel rumore di ostiche parole
(ma il suono delle mie sarà assai vivo),
e voglia avrai di toccarmi le carni.
Qualche lacrima ti arderà le gote,
perché non vorrai opporti a insinuanti
sottili turbamenti, e col filo
della voce strozzata
invocherai: perdona
La memoria è sassolino piatto, gettato a rimbalzare sull'acqua stagna. La memoria può dare un colpo al cuore: un colpo simile al tonfo di una salma seppellita in mare. Però l'incoscienza può distrarci, può farci sorridere, farci giocare e ridere. Non fa niente se il gioco bieco di un piromane ha bruciato la foresta, ha ucciso gli animali selvatici. Non è adusto il campo di grano, non sono morte le bestie da ingrasso nelle stalle; il raccolto è magro, la carne è secca (molti norcini sono stati licenziati nei mattatoi comunali), qualcuno lontano muore di fame, ma la nostra ciotola è colma. Più colma ancora la gavetta del soldato.
Noi: la nonna, i cugini, io; veniamo su. Veniamo su attraverso il colle, per l'arduo tratturo. Nonna, mai t'incolga l'abasìa! Ed io vengo su insieme con te, per la via che va in discesa. Vengo su: mi eccita udire, vedere gli aeroplani sospesi.
ma ecco,
finalmente arriva il mattino:
mille speranze balenano in cielo.
Su, presto:
calate sulla terra e sull'eliso
scalpitanti destrieri attaccati
al cocchio ormai in bilico di Elio!
Divini raggi, filtrando dal velo
delle nuvole e delle nebbie rade,
rivelate la forma
di tutte le cose; delle ampie fare
finanche,
delle fabbriche, delle somme case!
Ierofania: oggi
tu nella mente sei dolce pensiero,
emozione che palpita in petto!
Ma il giorno non vive (c'è un diniego),
sopra il proscenio del teatro gretto
il sipario si abbassa veloce ed è sera.
E vivo una sera
di nubi di lampi di tuoni,
con l'anima erosa,
sperduto fra imponenti capannoni
spettrali
dalle pareti di fredda lamiera.
Vivo da esiliato,
dal grecale sbattuto
su una siepe spinosa,
e sopra cumuli di aguzza breccia
la sera più funesta, la più nera.
Domani altri abbracci
ti placheranno la furia del sangue
e ti daranno la celeste quiete
oltre l'eterno istante rapinoso;
non ti perturbi l'esistenza triste
cui un amore esausto e tremante
mi avrà trascinato
Vivo sulle pendenze boscose di una collina che assieme ad altre chiude una valle; una valle chiusa al mondo.
Chiusa al capitalismo rapace, basato su di un dinamismo deflagrante, che ha creato benessere rutilante. Che ha creato povertà terrifiche e annichilimento mortifero. Dilagano la cattiva ricchezza e l'egoismo; la miseria viene profusa a piene e generose mani in mezzo a vasta, vistosa apatia (vedo una donna con un bambino per mano incespicare e cadere sul suo bambino; i patimenti l'hanno debilitata a tal punto che non si regge più in piedi; nessuno, nemmeno io, si degna di darle un aiuto perché ella si rialzi definitivamente, perché non crolli al suolo mai più e possa soddisfare la voglia di moine del suo bimbo).
Adesso Lucio mi dice che io non devo credere più nel socialismo (con gli atti di fede non si risolvono i problemi), che devo gettare a mare i miei ideali e le mie lotte fatte, e che devo sposare i sani princìpi del capitalismo industriale ed efficientistico, dell'attivismo economico privatistico. Ce la metto tutta, però io proprio non ce la faccio a diventare un neofita del suo nuovo partito (eppure nella testa mi sono rimbombate a lungo locuzioni come laboriosità produttivistica, o produttività solerte, non so bene, di preciso davvero non so. Forse non ci capisco poi tanto, la mente sembra rifiutarsi di capire). Comunque io non ho mai manifestato di voler trascorrere la vita da ignavo edonista. In concordanza con molti altri avevo soltanto espresso un certo concetto della giustizia sociale, della divisione dei beni finanziari e immobili. Tutto qui. Forse Lucio mi considera un allogeno provenuto da un altro pianeta. Lasciamo stare, non voglio debordare.
Chiudo le mie ferite, chiudo me stesso a riccio e vado a zappare l'orto davanti la casa: non abbiamo il viridario. Zappo e vango. Sono piccolo, inesperto, e il lavoro mi riesce male. Sono piccolo come i pulcini appresso alla chioccia. Sono così simpatici i pulcini con il loro pigolìo! Ma voi state attenti, non schiacciateli coi vostri piedoni brutti, puzzolenti, e neanche un pochino distratti. In ogni caso: non schiacciateli, per favore, non si abbandonino all'accidia i vostri piedi! E nessun altro apra mie ferite, nessuno, lo prego!... per favore!...
è un missile l'urlo aggrondato
che attraversa la notte e si perde;
non è il sussurro che sfiora e seduce...
e fugge, sconfina in spazio
irraggiungibile, inesplorato:
persona riguardata non origlia
e il velo ora si squarcia.
Tranquillo è il riposo nel frattempo
che assenti ristanno gli intenti